Nei pazienti affetti da cirrosi epatica il sangue, proveniente dall’intestino e diretto al fegato attraverso la vena porta, incontra difficoltà ad attraversare le cellule epatiche a causa della fibrosi che forma un ostacolo all’emodinamica epatica, per cui si formano circoli collaterali ex novo, formando le varici esofagee, gastriche o la rete capillare della gastropatia ipertensiva portale. Le vene dell’esofago si rigonfiano (varici) con aumento progressivo del calibro e della pressione al loro interno e alla lunga possono rompersi e sanguinare.
Tale sanguinamento può essere lieve o massivo e può fuoriuscire dalla bocca (ematemesi) oppure dall’ano con feci di colorito nerastro (melena).
Se massivo il sanguinamento provoca un’anemia con rischi elevati di shock e morte. Per questo motivo è necessario un trattamento endoscopico immediato, inteso ad arrestare il sanguinamento.
Con il gastroscopio si possono studiare le varici e visualizzare e trattare la fonte di sanguinamento.
I pazienti in cui si sospettano varici esofagee, ad esempio i cirrotici, dovrebbero eseguire controlli endoscopici periodici.
Infatti, qualora si diagnostichino varici esofagee, è possibile rallentarne la crescita e diminuirne il rischio di sanguinamento con particolari farmaci.
In generale il trattamento endoscopico delle varici è riservato ai pazienti che hanno presentato almeno un episodio di sanguinamento; tuttavia può essere effettuato in casi particolari anche in pazienti con varici voluminose che non abbiano mai sanguinato (es: pazienti con controindicazioni al trattamento farmacologico).
La preparazione è in buona parte sovrapponibile a quella per l’EGDS.
Il paziente deve essere digiuno da almeno 8 ore. Prima dell’esame bisogna rimuovere eventuali protesi dentarie mobili.
L’esame non produce dolore, ma solo modesto fastidio all’introduzione dello strumento.
Essendo però, un esame in cui il paziente deve essere tranquillo, è necessario che sia somministrata una sedo-analgesia che comporta un monitoraggio ossimetrico e pressorio.
Si posizionano dei lacci alle basi varicose che determinano necrosi e caduta della varice stessa nei giorni seguenti la procedura.
Dopo l’esame, il paziente rimane ricoverato per almeno 24 ore; se l’esame è stato fatto in urgenza per un sanguinamento in atto il ricovero dovrà protrarsi per alcuni giorni, in quanto il rischio di risanguinamento è più alto nei primi 3-5 gg.
L’alimentazione dovrà essere liquida fredda per le prime 24 ore o semiliquida per uno o più giorni.
La legatura provoca ulcerazioni, più o meno ampie e severe, della mucosa dell’esofago.
In generale però le complicanze della legatura sono inferiori a quelle della sclerosi, in quanto la tecnica comporta una minore infiammazione della parete dell’esofago.
Dopo il trattamento endoscopico può insorgere febbre e/o modesti dolori al torace e alla parte superiore dell’addome, che si risolvono per lo più spontaneamente, ma richiedono attenzione quando persistono, sono particolarmente severi o si associano ad altri sintomi.
L’eventuale comparsa di difficoltà alla deglutizione è legata all’infiammazione della mucosa dell’esofago e tende a scomparire dopo alcuni giorni; la sua persistenza per tempi lunghi può indicare la presenza di un restringimento dell’esofago conseguente al trattamento.
A questa complicanza si può porre rimedio per via endoscopica. La caduta delle piccole croste che ricoprono le ulcere in esito ai trattamenti endoscopici (escare) può essere causa di un nuovo sanguinamento dopo qualche giorno.
Complicanze più gravi, come la perforazione, sono molto rare.
Il posizionamento della protesi deve essere sempre eseguito sotto controllo radiologico.
Una tecnica efficace e sicura consiste nel superare la stenosi con un filo guida sottile atraumatico idrofilico preferibilmente con punta sottile flessibile da 0.025 – 0.035 inches sul quale si introduce una cannula, monitorando la manovra in scopia.
Superata la stenosi, estratta la guida dalla cannula, occorre effettuare una buona radioscopia con mezzo di contrasto.
L’opacizzazione della stenosi è fondamentale per ottenere una corretta proiezione radiologica del tratto stenotico, per valutarne decorso e lunghezza.
Ottenuto un efficace imaging del tratto stenotico, si conclude la fase diagnostica necessaria per scegliere la tipologia e la lunghezza della protesi.
E’ fondamentale identificare la giusta protesi per il caso da affrontare. Si inserisce quindi un filo guida più rigido su cui far scorrere la protesi. Questo è un filo guida metallico con punta flessibile, che si preferisce far correre all’interno del catetere per minimizzare pressoché totalmente i rischi di perforazione sulle anse sovradistese.
Una volta inserita la protesi all’interno del tratto stenotico si inizia la fase di rilascio. Questa manovra deve essere effettuata con estrema cura.
Le protesi coliche, infatti, sia per la differenza di lunghezza tra la loro forma chiusa ed aperta, sia per la loro intrinseca forza radiale, possiedono tutte la tendenza all’accorciamento ed alla risalita prossimale.
Non sono indicate in genere profilassi specifiche per questa procedura né esiste un protocollo definito per quanto riguarda la preparazione intestinale. Nelle manovre effettuate in urgenza per occlusioni complete è indicata la semplice preparazione a base di clismi.
Nei casi di palliazione in elezione invece può essere effettuata la preparazione standard per colonscopia con PEG nelle procedure del colon. Il solo digiuno è sufficiente per le procedure su stenosi del tratto digerente superiore.